Il progetto presentato al Convegno Nazionale AIRett 2017, a Cassano d’Adda, si colloca tra le nuove strategie molecolari che, in maniera prospettica, puntano ad una terapia genica per la sindrome di Rett (RTT). La domanda da cui nasce il progetto, recentemente finanziato da AIRett, è la seguente: possiamo riattivare l’allele sano ma silente di MECP2 nelle cellule delle bimbe Rett? Ovvero, siamo in grado di far auto-produrre alla cellula-RTT la quantità corretta di proteina MeCP2 funzionante?
Dal 2007, studiando modelli murini della malattia, vari gruppi di ricerca hanno fornito la prova formale che la patologia RTT non è associata a neuro-degenerazione. Inoltre, in topi adulti, geneticamente modificati affinché non esprimessero la proteina MeCP2, la sua ri-espressione in neuroni maturi porta alla remissione di molte disfunzioni della RTT (Guy J et al, 2007). Analogamente, la comunità scientifica internazionale sta sperimentando protocolli di terapia genica per sostituire funzionalmente il gene Mecp2 ‘malato’ con uno sano, ma i test sono ancora in fase preclinica.
In alternativa, l’approccio genico, può fare leva su un aspetto della biologia del gene Mecp2, fino a poco tempo fa trascurato: essendo collocato sul cromosoma X Mecp2 è presente, in ogni cellula somatica (quindi anche nel cervello), in due copie parentali (alleli), ma un allele è normalmente ‘spento’ e idealmente utilizzabile come una ‘ruota di scorta’. La maggior parte dei geni del cromosoma X è soggetta a questo “spegnimento funzionale”; capiamo il perché e soprattutto come si può intervenire su questo fenomeno a scopo terapeutico!
In ogni cellula del corpo, le femmine di mammifero presentano due copie del cromosoma X a differenza dei maschi che portano un X e un Y. Il cromosoma Y è molto povero di geni rispetto all’X, ma esiste un meccanismo di compensazione del dosaggio che rende equivalente l’espressione dei geni portati dall’X nei due sessi (Vacca M et al, 2016).
Questo fenomeno biologico è noto come ‘inattivazione del cromosoma X’ (XCI) ed è così chiamato perché in ogni cellula, un X è ‘compattato’ e reso trascrizionalmente inerte (spento), ad eccezione di poche regioni. L’XCI è un esempio di regolazione epigenetica dell’espressione genica e, in virtù di questo fenomeno, ogni cellula esprime solo un allele del gene MECP2.
La scelta del cromosoma X da inattivare (uno ereditato dal padre-Xp e l’altro dalla madre-Xm) è casuale e avviene durante le fasi precoci dello sviluppo embrionale. Una volta stabilita, l’inattivazione sarà mantenuta nel tempo (eredità clonale), cioè tutte le cellule discendenti saranno identiche alla propria progenitrice. Pertanto il corpo femminile sarà un mosaico funzionale di cellule in cui è inattivato l’Xp e di cellule in cui è inattivato l’Xm. Normalmente ciascun gruppo di cellule rappresenta circa il 50% del totale, proprio perché i due X hanno la stessa probabilità di essere silenziati. Il caratteristico pelo variegato della gatta ‘calico’ è un classico esempio ‘fenotipico’ degli effetti dell’XCI che ci aiuta anche a intuire che il fenomeno è stabile nel tempo (le macchie di pelo rosso non diventeranno mai nere e viceversa).
Nelle cellule germinali (spermatozoi e ovociti), l’inattivazione viene invece cancellata per essere reimpostata nelle figlie femmine della generazione successiva. Questo significa che il fenomeno dell’XCI è reversibile, almeno nelle cellule sessuali.
La patologia RTT è causata nella maggior parte dei casi da mutazioni eterozigoti in MECP2. Nel disegno in Figura 1 è esemplificato il caso in cui la mutazione sia di origine paterna, mentre il cromosoma materno porta l’allele ‘sano’. In caso di inattivazione casuale (come accade normalmente anche nelle bimbe RTT, salvo rare eccezioni) il 50% delle cellule esprimerà l’allele materno sano e la restante parte esprimerà l’allele paterno mutato (Figura 1A).
La proteina prodotta dall’allele mutato in genere non funziona (loss of function), ma evidentemente la quota di proteina funzionante prodotta in altre cellule non è sufficiente ad arrestare lo sviluppo della patologia. Al contrario, se la XCI non è casuale, ed è preferenzialmente inattivato l’X che porta l’allele mutato (azione protettiva dell’XCI non casuale), le manifestazioni cliniche della RTT possono risultare meno gravi o assenti (Archer H. et al, 2007).
La strategia sperimentale, presentata al convegno, mira a identificare e selezionare molecole che, agendo sui meccanismi epigenetici che silenziano uno dei due alleli di Mecp2, ne consentano la riattivazione. Tali meccanismi non sono ancora stati compresi a fondo, per cui, di fatto, non sappiamo quale sia il preciso ‘interruttore molecolare’ da spostare dalla posizione OFF a quella ON.
Pertanto, abbiamo pensato di ricorrere a collezioni (libraries, letteralmente ‘biblioteche’) di composti epigenetici (epidrugs), al fine di mettere in funzione l’allele Mecp2 sano, che è già presente all’interno della cellula RTT, ma è silente.
Nello specifico il nostro progetto, schematizzato in figura 2, è stato declinato in tre obiettivi fondamentali:
1. Creare uno strumento cellulare che ci permetta di evidenziare attraverso marcatori ‘colorati’ se e quanto l’allele silente del gene Mecp2 viene riattivato.
Stiamo attualmente generando topi in cui gli alleli di Mecp2 siano ‘cuciti’ a due diverse ‘etichette’ fluorescenti (reporter), monitorabili al microscopio. L’intento è di ottenere due popolazioni omogenee di cellule ‘fenotipicamente’ monocromatiche (verdi o rosse, figura 2C), che abbiano l’altro allele ‘colorato’ non visibile fino a quando il cromosoma X che lo porta è inattivo. Questo sistema, da noi chiamato ‘dual color cell reporter’, rappresenta il punto di partenza per lo screening di epidrug che possano riattivare, specificamente o con il minor numero di ‘geni fuori-bersaglio’, la copia silente del gene della Rett.
2. Messa a punto del saggio cellulare per valutare la riattivazione di Mecp2.
Una volta ottenuto il sistema cellulare desiderato, sarà necessario definire le condizioni sperimentali per il suo impiego in un test (saggio) funzionale, per l’individuazione di molecole capaci di ‘accendere’ l’etichetta ‘nascosta’ e quindi di far comparire il colore invisibile (rosso o verde, figura 2D), indice di riattivazione dell’allele Mecp2 inattivo. Per verificare che il test funzioni e che sia possibile ‘accendere’ la fluorescenza nascosta sull’X inattivo, si utilizzeranno dei composti chimici già noti come inibitori della XCI (Bhatnagar S et al, 2014) e che quindi riattiveranno gran parte del cromosoma X.
In una fase più avanzata, il test basato sul ‘dual color cell reporter’ verrà adattato per essere eseguito su larga scala. Questa parte di progetto sarà eseguita in collaborazione con la dott.ssa Laura Casalino, all’IGB di Napoli, attraverso
l’utilizzo di una piattaforma robotimakerca integrata chiamata Cell , sviluppata ad hoc per l’automazione di screenings molecolari su saggi cellulari (Casalino L et al, 2012 e 2011).
Tecnicamente, l’effetto atteso per i composti che vaglieremo sarà visualizzato come la comparsa del segnale rosso nella popolazione di cellule verdi, e viceversa, la comparsa del segnale verde nella popolazione di cellule rosse (figura 2D).
3. Screening di composti ad azione epigenetica (epidrug libraries).
In una prima fase, in uno screening pilota, si analizzerà l’effetto della collezione di composti ad alto grado di selettività del dott. Knapp (http://www.thesgc.org/ chemical-probes/epigenetics). I principali enzimi che modulano l’epigenoma, infatti, sono raggruppabili in tre grandi classi: scrittori, lettori e cancellatori delle modifiche epigenetiche. La collezione, che il dott. Knapp ci fornirà gratuitamente, è costituita dai principali regolatori di queste tre classi: si tratta di trentotto molecole ‘capostipite’, da cui per analogia di struttura o funzione, derivano moltissime altre epidrug. In seguito ci riserviamo la possibilità di ricorrere ad una più vasta collezione di epidrugs disponibili in commercio, per ampliare la possibilità di successo nel caso in cui lo screening pilota non abbia identificato alcun composto attivo.
Screening analoghi sono in corso presso l’International Rett Consortium (http://www.rsrt.org/).
Tuttavia, il set di molecole che intendiamo analizzare è differente (nota del dott. Knapp). Riteniamo, quindi, che la nostra proposta debba intendersi come un contributo, offerto all’Italia, per aumentare la probabilità di successo in tale direzione. Vogliamo inoltre precisare che lo strumento sperimentale da noi ideato, dal sistema cellulare alla strategia operativa, è completamente innovativo e il suo punto di forza è che non richiede di modificare il naturale corso dell’inattivazione dell’X. È pratica comune infatti, modificare geneticamente uno dei due X, al fine di renderlo permanentemente attivo (o inattivo, a seconda delle strategie specifiche). Invece, l’ideazione di uno strumento cellulare, che assicuri condizioni più strettamente fisiologiche all’XCI, abbassa la probabilità di ‘falsi positivi’ e richiede anche un minor numero di manipolazioni dei modelli murini.
La RTT è annoverata tra i disordini di tipo autistico, ma è considerata una patologia ‘rara’. Pertanto, le agenzie, pubbliche e private, sono restie a finanziare progetti inerenti questa patologia. Eppure, il fatto che si conosca il gene causativo è già di per sé un vantaggio per le applicazioni terapeutiche, rispetto ad altre malattie di origine genetica. Il nostro progetto fa leva su questa conoscenza e, al tempo stesso, fa tesoro delle recenti scoperte della ricerca di base sulla reversibilità del fenomeno della inattivazione del cromosoma X.
Il progetto è ambizioso e sicuramente ha delle criticità che sono state discusse con i ricercatori intervenuti al convegno. Riteniamo, tuttavia, che a distanza di 18 anni dalla scoperta di MECP2, occorra ‘riaccendere’, insieme a MECP2, anche la speranza di tante famiglie, che sperimentano ogni giorno i ritardi della ricerca biomedica nel campo della patologia RTT.