In questa sessione del Congresso mondiale i più affermati ricercatori hanno fornito una panoramica sui più recenti studi genetici, che ci fanno sperare in un futuro in cui il processo di reversibilità dei sintomi neuromotori e l’aumento della durata e della qualità della vita delle pazienti Rett sono obiettivi sempre più vicini.
Sintesi a cura della dott.ssa Silvia Russo – Istituto Auxologico di Milano
Dalle sessioni plenarie
Huda Zoghby (Houstone, USA) e Adrian Bird (Edinburgh, UK) hanno inaugurato il convegno. La prima ha fornito una panoramica generale sulla sindrome di Rett e sul principale gene coinvolto, MeCP2 che si è conclusa con quanto riportato nel suo ultimo lavoro apparso su Science all’inizio dell’estate. Partendo dall’osservazione che non solo la perdita di funzione ma anche una maggiore quantità di proteina espressa (pazienti con duplicazione del gene MeCP2) esitano in un quadro clinico di tipo neurologico sono stati effettuati studi di espressione genica nell’ipotalamo di topi che sono deficitari o iperesprimono MeCP2. In modelli di topo rappresentativi di entrambe le situazioni, la disregolazione di MeCP2 ha indotto variazioni nel livello di espressione di migliaia di geni, e contrariamente all’atteso, l’85% apparivano attivati da MeCP2; è stato inoltre dimostrato che MeCP2 si associa con l’attivatore trascrizionale CREB1 al promoter dei geni target che attiva, ma non al promoter dei geni di cui è repressore. Bird ha focalizzato il suo intervento su struttura e funzione del gene MeCP2 dedicando spazio all’esperimento da lui pubblicato lo scorso anno in cui si dimostrava che il quadro clinico di un topo adulto Mecp2- , opportunamente ingegnerizzato in modo tale da essere reversibile, mostrava un netto miglioramento dei sintomi neurologici, se l’espressione del gene era re-indotta.
Particolarmente interessante l’intervento di Janine LaSalle (Davis, CA, USA), dal titolo “Qual è la reale funzione di MeCP2 nel cervello?” che ha lo scopo di definire quali funzioni vengano a mancare nel cervello di una paziente Rett. LaSalle ha riassunto gli esperimenti recenti che hanno tentato di dare una risposta a domande quali: dove si localizza MeCP2 nel nucleo dei neuroni? e quali sono i tipi geni che regola? Qual è il ruolo essenziale di MeCP2 nella maturazione del neurone? In che modo la mancanza di MeCP2 può influenzare la funzione dei neuroni? Come la complessa miscela di cellule che ci sono nel mosaico di cellule del cervello di una bambina Rett influenza la patogenesi data dalle mutazioni di MeCP2 ed infine come si può applicare quanto appreso negli ultimi 10 anni per sviluppare trattamenti per la sindrome di Rett?
In un lunghissimo ed esauriente intervento, la dottoressa Lasalle ha spiegato come nel cervello MeCP2 sia espresso nei neuroni e nei non-neuroni, in particolare negli astrociti, non solo nel nucleo, ma anche nel citoplasma. Sembra che nel mosaico di astrociti, mutati e non, le cellule comunichino tra loro influenzandosi. Nel nucleo MeCP2 si lega sia al DNA non modificato, così come ai metil-CpG. Secondo il modello più accreditato si considera che MeCP2 si associ stabilmente alla cromatina, facilitando la repressione trascrizionale sia a lunga che breve distanza attraverso il rimodellamento della cromatina e l’assemblaggio di anelli di cromatina. Data la complessità delle interazioni di MeCP2 con le numerose proteine nucleari era importante studiare le dinamiche della sua associazione alla cromatina all’interno delle cellule viventi. Questi studi hanno mostrato che MeCP2 in vivo si lega in modo transitorio alla cromatina e che il Metil Binding Domain, MBD, ha un ruolo centrale nel dirigere la proteina verso l’eterocromatina, mentre la regione intermedia, ID, posta tra MBD e TRD, è in grado di stabilizzare il legame tra cromatina e MeCP2 indipendentemente dall’MBD; anche il Trascription Repressor Domain contribuisce al legame con la cromatina. è probabile che alcune comuni mutazioni, missenso e di stop, che si è dimostrato alterino il legame con la cromatina, siano per questo causa del malfunzionamento della proteina e quindi della malattia. Quanto ai geni targets, solo alcuni sono stati accertati e sono confermati nei diversi studi. Tra questi i più studiati sono il gene BDNF (Brain Derived Neurotrofic Factor) e il gene DLX5 (distal-less homeobox 5), coinvolto nella produzione di enzimi che sintetizzano l’acido gamma-aminobutirrico e confermato in più studi, ma il capitolo dei geni target è ancora lontano dall’avere raggiunto una sua conclusione.
Nella sindrome di Rett, nonostante il grave quadro neurologico, le maggiori alterazioni che si osservano nel sistema nervoso centrale consistono in una diminuzione della massa cerebrale e dei singoli neuroni. Studi di neurofisiologia suggeriscono che sia il sistema nervoso centrale che quello autonomo contribuiscono alla fisiopatologia della sindrome. Per quanto riguarda le strategie terapeutiche appare importante identificare i meccanismi molecolari che sottostanno ai fenotipi RTT individuali e identificare i geni target interessanti dal punto di vista terapeutico. è probabile che ci siano molti geni la cui espressione è sufficientemente alterata da provocare disfunzioni neuronali, probabilmente a causa della perdita delle normali risposte omeostatiche e alcune di queste molecole potrebbero essere studiate come potenzialmente terapeutiche. Il fatto che esistano pazienti con fenotipo più lieve nonostante abbiano una mutazione severa suggerisce che qualche variante in una o più proteine diverse da MeCP2 possa essere la causa di questa differenza e lo studio di questi geni modificatori in modelli murini potrebbe dimostrarsi utile. Infine, dato che la perdita/acquisizione di MeCP2 hanno effetti opposti sui neuroni, sarà importante stabilire, quando si considerano i trials terapeutici se alcuni alleli mutanti di MeCP2 sono funzionalmente nulli o iperfunzionanti.
Laurent Villard ha presentato il progetto europeo E-Rare, dal titolo EuroRett Network che vede la costituzione di una rete di 8 Paesi europei che hanno deciso di cooperare nell’ambito della ricerca sulla sindrome di Rett, finanziati dalla Commissione Europea. Oltre alla motivazione che ogni anno nascono in Europa circa 250 bambine con la sindrome di Rett, di cui circa il 90% hanno una mutazione nel gene MeCP2, ed una piccola frazione portano una mutazione in CDKL5 e FOXG1, la sindrome di Rett può essere considerata una patologia modello per più ragioni. Innanzitutto perché MeCP2 è probabilmente coinvolta nei meccanismi di rimodellamento della cromatina che sono molto importanti per comprendere regolazione, espressione e dinamica del genoma, secondo perché non esiste per ora nessuna terapia per questa grave malattia, ma si sa che il quadro clinico potrebbe essere reversibile ed infine è un modello per la disfunzione dei neuroni maturi.
Comunicazioni orali
Interventi importanti a proposito dei geni target sono stati quello di Ballestar, di Adachi. è noto che MeCP2 e altre proteine della famiglia dei Methyl Binding Domain, MBDs, sono in grado di legarsi al DNA metilato e di associare le iston-deacetilasi, HDAC, portando all’attivazione trascrizionale, ossia al funzionamento, dei geni metilati. La questione riguardante i ruoli di MeCP2 e la sua relazione con la biologia della metilazione del DNA resta di grande interesse: il gruppo di Ballestar applicando la metodica della immunoprecipitazione di DNA e proteine, definita ChiP, combinata con i micro-array per le isole CpG ha evidenziato come l’associazione dei diversi MBD sia gene specifica, alcune sequenze si associano solo ad alcuni geni mentre altre si associano a molti geni. Ad esempio MeCP2 è il solo MBD identificato in associazione con i promoter RASSF1A, RARB2, ENPP4 e PIP5K. I geni target risultavano silenziati nelle cellule del tumore alla mammella e nei tumori primari; tra i candidati sono inclusi l’homeobox PAX6, l’ormone della prolattina e la dipeptidilpeptidasi IV. Il gruppo di Adachi utilizzando un modello con una delezione specifica mediata da virus nell’amigdala basolaterale (topo BLA), ha dimostrato che è necessaria la completa funzionalità di Mecp2 per un normale comportamento riferito a stati d’ansia, o ad alcuni tipi di apprendimento e memoria. Per valutare se i deficits osservati fossero il risultato dell’alterata repressione trascrizionale, hanno infuso un inibitore delle HDAC sia nel topo wt, sia nel topo (BLA) dimostrando il ruolo chiave di Mecp2 come repressore trascrizionale.
Un capitolo a parte è quello della terapia genica, per cui non ci sono grandissime novità. In questo contesto Eubanks parte dall’osservazione che tutti i modelli di topi con Mecp2 deficitario esprimevano un quadro clinico simile alla sindrome di Rett, in particolare che il solo deficit di Mecp2 in neuroni del prosencefalo porta allo sviluppo di una condizione Rett-like. Hanno perciò generato topi transgenici che esprimevano solo il 50% di Mecp2 nei neuroni frontali e hanno sviluppato un fenotipo Rett-like. Sono stati quindi incrociati i topi transgenici con i topi Mecp2- ed è stato osservato per un anno il comportamento delle femmine ottenute. Lo studio ha dimostrato che le femmine Mecp2- che esprimevano il transgene nei neuroni frontali ristabilivano il fenotipo wild-type per quanto concerne gli aspetti comportamentali. Sempre sul fronte della terapia Laccone ha riportato la sua esperienza sulle proteine ricombinanti MeCP2e1 e MeCP2e2 fuse alla loro estremità N-terminale con un dominio di traduzione della proteina. Le proteine di fusione iniettate intraperitoneo sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il nucleo dei neuroni. I primi esperimenti dimostrerebbero che la somministrazione delle proteine ricombinanti estende il ciclo vitale del topo, il ridotto volume dei neuroni dell’ippocampo viene parzialmente recuperato ed anche le capacità motorie risulterebbero leggermente migliorate. Nonostante il ruolo prevalente di MeCP2 si esprima nei neuroni maturi, alcune anomalie possono derivare anche da disfunzioni in altre cellule somatiche. A tale proposito Young dimostra come infatti anomalie nel normale pattern di espressione del cuore del topo determinino la morte dell’embrione per ipertrofia del setto cardiaco, suggerendo che una corretta interpretazione dei segnali di metilazione sono importanti per un normale sviluppo del cuore.
Vi sono state sessioni dedicate alla correlazione tra quadro clinico e tipo di mutazione, ma non vi sono in questo settore grandi novità. Si ricorda la descrizione da più ricercatori di fenotipi clinici molto atipici, con mutazioni già riportate in letteratura, una intera sessione dedicata ai pazienti con mutazione CDKL5, sia maschi sia femmine ed il tentativo di definire dei criteri clinici per questo subset di pazienti, dove per ora l’unico parametro comune sia l’insorgenza precoce dell’epilessia. Nectoux riferisce uno studio di proteomica in fibroblasti CDKL5 deficitari i cui risultati suggeriscono che un deficit di CDKL5 induca suscettibilità allo stress ossidativi ed una riorganizzazione del citoscheletro che potrebbe essere coinvolta nel danno cerebrale tipico dei pazienti con mutazione CDKL5.
Per concludere ricordiamo gli studi di Eva Gak che suggeriscono che MeCP2 agisca attraverso meccanismi paralleli di rimodellamento della cromatina che coinvolgono le istondeacetilasi ed il complesso SWI/SNF coinvolti nei meccanismi globali di rimodellamento della cromatina, gli studi N Landsberger che dimostrano come la chinasi HIPK2 possa essere un gene modificatore che influenzi l’effetto delle mutazioni di MeCP2 e le ricerche di Saxena, che mostra l’associazione di MeCP2 ai microtubuli nel citoplasma e al fuso mitotico. Questi studi dimostrano il ruolo di MeCP2 nel mantenimento della stabilità dei microtubuli mediante l’inibizione dell’attività deacetilasica della tubulina HDAC6.