Andreas Rett
La Sindrome di Rett (RTT) è un raro disturbo del neurosviluppo. È stata scoperta per la prima volta nel 1965, dal medico austriaco Andreas Rett, il quale a seguito di un’osservazione casuale, si rese conto che due bambine mostravano movimenti stereotipati delle mani molto simili tra di loro. Il pediatra dopo aver osservato queste due bambine, attenzionò ulteriori casi similari, pubblicando nel 1966, un articolo all’interno del quale delineava il profilo delle due pazienti. Tuttavia i suoi studi vennero ignorati per un lungo periodo di tempo.
Per quanto rappresentino una rarità, sono stati ulteriormente evidenziati casi di insorgenza di tale sindrome anche nel genere maschile (Occhipinti et al., 2000). Per quanto concerne le modalità di insorgenza della RTT e le caratteristiche sintomatologiche, dopo un periodo di sviluppo prenatale e perinatale apparentemente tipico, tra i 6 e i 18 mesi di vita iniziano a manifestarsi sintomi similari a quelli che rientrano nella categoria diagnostica dei disturbi dello spettro autistico (ASD).
L’impronta autistic-like nella RTT è stata nel passato annoverata anche nel DSM IV-R come disordine psichiatrico all’interno dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (American Psychiatric Association (APA) (2000), DSM IV-TR). Nella nuova edizione del nuovo DSM V la RTT è stata rimossa dal manuale dei disturbi psichiatrici.
Per quanto concerne l’eziologia della RTT, dopo il 1999 è stata identificata una mutazione nel gene MeCP2 (Ethel CpG-binding protein 2) localizzato nel cromosoma X. Ad oggi, sono state ulteriormente identificati altri due geni responsabili della sindrome, il CDKLL5 E FOXG11. Inoltre, studi recenti hanno indivuato una relazioe genotipo-fenotipo, ovvero le caratteristiche cliniche della RTT cambiano in funzione della mutazione genetica (Fabio et al., 2014; Fabio, Caprì, Lotan, Towey, & Martino, 2018).
Nella maggior parte dei casi la diagnosi viene confermata da esami di genetica molecolare, evitando così di formulare una diagnosi errata di autismo come accadeva frequentemente in passato. La RTT è caratterizzata da un’ampia eterogeneità di forme oltre alle tipiche:
caratterizzata da un decorso clinico più favorevole in cui le bambine recuperano la capacità di esprimersi con frasi brevi e, parzialmente, l’uso delle mani;
caratterizzata da crisi convulsive che si manifestano prima del periodo di regressione
in cui i segni clinici caratteristici sono più sfumati
in cui il ritardo psicomotorio è evidente sin dai primi mesi di vita
di rarissima osservazione
I quattro stadi clinici della sindrome di Rett
Fase 1
tra i 6 e i 18 mesi. Durata: mesi
Rallentamento e stagnazione dello sviluppo psicomotorio fino a quel momento normale. Compare disattenzione verso l’ambiente circostante e verso il gioco. Sebbene le mani siano ancora usate in maniera funzionale, irrompono i primi sporadici stereotipi. Rallenta la crescita della circonferenza cranica.
Fase 2
Da 18 mesi ai tre anni. Durata: settimane, mesi
Rapida regressione dello sviluppo, perdita delle capacità acquisite, irritabilità, insonnia, disturbo dell’andatura. Compaiono manifestazioni di tipo autistico, perdita del linguaggio espressivo e dell’uso funzionale delle mani accompagnata dai movimenti stereotipati, comportamenti autolesivi. La regressione può essere improvvisa o lenta e graduale.
Fase 3
stadio pseudo stazionario. Durata: mesi, anni
Dopo la fase di regressione, lo sviluppo si stabilizza. Diminuiscono gli aspetti di tipo autistico e viene recuperato il contatto emotivo con l’ambiente circostante. Scarsa coordinazione muscolare accompagnata da frequenti attacchi epilettici.
Fase 4
all’incirca dopo i 10 anni. Durata: anni
Migliora il contatto emotivo. Gli attacchi epilettici sono più controllabili. La debolezza, l’atrofia, la spasticità e la scoliosi impediscono a molte ragazze di camminare, anche se non mancano le eccezioni. Spesso i piedi sono freddi, bluastri e gonfi a causa di problemi di trofismo.
La malattia genera indubbiamente non poche difficoltà legate a numerosi handicap. È necessario tuttavia precisare che il quadro evolutivo della patologia non segue mai un percorso preordinato per tutti i soggetti. I quadri clinici di deterioramento, di miglioramento o di stasi dell’evoluzione patologica sono variabili e diversi tra loro.