descrizione
Airett sta immergendo le bambine nella Realtà Virtuale per vivere più intensamente le emozioni dell’apprendimento
perché la realtà virtuale?
Una delle tecnologie più promettenti in ambito clinico
immersività
maggiore motivazione
senso di presenza
Spiegazione
L’uso delle nuove tecnologie, come la realtà virtuale e la realtà aumentata, rappresenta un valido approccio per sviluppare metodi educativi e terapeutici nei disturbi neurologici e in quelli del neurosviluppo (Hosseini & FoutohiGhazvini, 2016). In campo neurologico, sono stati condotti molti studi sull’uso della realtà virtuale, come strumento riabilitativo, in pazienti con sclerosi multipla. In questo filone di ricerche, una sistematica review ha dimostrato che i programmi riabilitativi che si sono avvalsi dell’uso della realtà virtuale sono un metodo efficace per il trattamento dei deficit motori e cognitivi nei pazienti con sclerosi multipla (Massetti, 2016). Alla stessa stregua, una review sulla riabilitazione con realtà virtuale nei bambini e negli adolescenti con paralisi cerebrale ha rivelato che la realtà virtuale rappresenta un promettente intervento per il miglioramento dell’equilibrio e delle capacità motorie in tali soggetti (Ravia, Kumara, & Singhi, 2017). Nel campo dei disturbi del neurosviluppo, la realtà aumentata è stata usata per implementare uno dei metodi più comuni nel trattamento dell’autismo, quali il Sistema di Scambio di Immagini (PECS), in un ambiente stimolante per i bambini con deficit dello spettro autistico dal grado di severità basso, medio e alto (Hosseini & FoutohiGhazvini, 2016). I risultati dello studio hanno indicato che i livelli di apprendimento miglioravano in termini di velocità della risposta e motivazione a continuare il compito, nei bambini con autismo sottoposti al programma PECS con realtà virtuale rispetto a quelli sottoposti al protocollo classico. Alla luce dei risultati degli studi precedenti, è possibile assumere che anche i soggetti con Sindrome di Rett possano beneficiare dell’uso della realtà virtuale e aumentata. In letteratura, sembrerebbe che nessuno studio abbia, finora, analizzato l’efficacia della realtà virtuale e aumentata nei programmi riabilitativi indirizzati alle persone con Sindrome di Rett. Pertanto, la questione sull’efficacia di queste tecnologie su tale popolazione rimane ancora aperta. Gli studi del nostro gruppo di ricerca sono volti ad offrire un contributo alla questione suddetta, ed in particolare sull’utilizzo dell’avatar virtuale a scopi riabilitativi nella Sindrome di Rett. L’intento è sviluppare un avatar virtuale da applicare in combinazione a programmi di potenziamento cognitivo e di apprendimento specifico per le bambine con Sindrome di Rett.Gli obiettivi specifici sono tre: 1) indagare a quale tipo di avatar le bambine rispondono con indici di felicità e di attenzione superiori; 2) indagare se lo span mnestico e l’attenzione delle bambine con Sindrome di Rett cambia in rapporto alla presenza o all’assenza dell’avatar; 3) usare l’avatar con scelta in 3D. Dal primo studio emerge che le bambine prediligono un avatar di genere maschile con capelli lunghi ed occhiali da vista. Pertanto, per il secondo studio si è scelto di impiegare l’avatar preferito dalle bimbe. I risultati dello studio pilota sono incoraggianti e dimostrano l’efficacia dell’avatar nel migliorare gli indici di memoria e attenzione nelle bambine con Sindrome di Rett.La sperimentazione delle tecnologie di realtà virtuale richiede l’impiego di attrezzature volte alla generazione ed alla somministrazione al soggetto di stimoli sensoriali altamente realistici e di qualità elevata, perfettamente sincronizzati fra loro in modo da essere ben tollerati e non generare reazioni negative o atteggiamenti di rifiuto. Si è dimostrato che le bimbe con Sindrome di Rett possono beneficiare dell’uso dell’avatar per migliorare le loro capacità attentive e mnemoniche. Pertanto, l’idea di combinare realtà virtuale e potenziamento cognitivo o tecniche di Comunicazione Aumentativa Alternativa può rappresentare una valida alternativa ai trattamenti tradizionali.
La Realtà Virtuale, abbreviata VR (Virtual Reality), è un insieme di tecnologie il cui scopo è creare una combinazione di stimoli sensoriali in grado di generare, nel cervello dell’utente, la percezione di un ambiente e di oggetti che vengono sentiti come reali, ma che reali non sono. A seconda delle tecnologie impiegate, e della loro combinazione, l’utente percepirà questo ambiente come più o meno reale, e le sue reazioni varieranno di conseguenza. L’obiettivo perseguito però non è solo quello di “ingannare” il meglio possibile il nostro cervello, calandolo in una realtà, appunto, virtuale: è infatti altrettanto importante che l’esperienza dell’utente sia confortevole e dia sempre la sensazione di “controllo”, ovvero che ad ogni azione eseguita dall’utente corrisponda la conseguenza che l’utente si attende. Se ad un’azione dell’utente segue un evento che l’utente non si aspetta, l’utente si disorienta e, alla lunga, si sentirà frustrato e perderà interesse all’attività.
L’origine della VR risale a oltre 50 anni fa (probabilmente nel 1958, ad opera di Morton Heilig), anche se il termine è stato coniato oltre vent’anni dopo dal famoso studioso Jaron Lanier. Storicamente le principali applicazioni sono state il gioco e la simulazione per l’addestramento, ad esempio aerospaziale, militare, medico (soprattutto in chirurgia). L’approccio simulativo consente di addestrare il soggetto con il contributo di un apporto esperienziale senza mettere a rischio l’incolumità sua o di altri ed a costi relativamente contenuti.
Nel corso di oltre due decadi le applicazioni in ambito medico e riabilitativo si sono moltiplicate. Ad esempio, si è visto che la VR può essere molto efficace come alternativa all’anestesia in casi in cui questa non sia praticabile: l’effetto di “immersione” in una realtà diversa da quella in cui il corpo si trova porta ad una significativa attenuazione delle percezioni dolorose e di fastidio in generale. Inoltre la VR è stata impiegata per la riabilitazione da diversi tipi di fobie ed altri disturbi analoghi, consentendo una progressiva e controllata esposizione ai fenomeni che scatenano le reazioni indesiderate senza correre alcun rischio reale ed operando in laboratorio, quindi con la possibilità di mantenere il soggetto sotto completo controllo fisiologico durante il trattamento. In ambito di riabilitazione cognitiva, la VR è stata utilizzata per rendere più appetibili diversi “serious game”, giochi “seri” il cui scopo è l’esercizio e l’addestramento di specifiche capacità cognitive. I serious game sono molto utili anche per la riabilitazione sensomotoria. In questo ambito, da decenni, si impiega la VR per riabilitare vittime di paralisi, infarti, vari tipi di traumi sia civili che di guerra. In particolare, dalla seconda metà degli anni ‘90 fino al decennio scorso negli USA sono state investite decine di milioni di dollari in ricerca sulle applicazioni della VR per la riabilitazione dei soldati feriti durante le guerre del Golfo e successive
I soggetti RETT possono trarre notevoli giovamenti dall’impiego della VR per la riabilitazione sia cognitiva che sensomotoria. Si è visto che l’impiego delle tecnologie multimediali aumenta di molto l’efficacia dei trattamenti, perché questi strumenti attraggono l’interesse dei soggetti, ne prolungano la resistenza durante gli esercizi e ne migliorano l’umore. La VR è, fra le tecnologie multimediali, quella di maggior efficacia e la più innovativa, pertanto si presenta come strumento di elezione per aumentare l’accettazione da parte dei soggetti e l’efficacia dei trattamenti. Ma il punto fondamentale è che tutto questo è estremamente divertente per i soggetti: in pratica è tutto un gioco, divertente e coinvolgente.
Sebbene la VR abbia origini piuttosto lontane (almeno per una tecnologia informatica), le sfide tecnologiche e scientifiche che devono essere ancora affrontate e vinte sono tante. Dal punto di vista tecnologico va notato che fino a questo momento nella maggior parte dei casi l’ambiente virtuale viene costruito proponendo al soggetto solo stimoli visivi ed uditivi e non, ad esempio, tattili. Questa mancanza comporta una riduzione nella sensazione di realismo e seri limiti nelle applicazioni. La ricerca tecnologica sta facendo molti passi avanti e presto avremo una realtà virtuale “tattile” altrettanto emozionante di quella visiva ed uditiva. Dal punto di vista scientifico ci sono però delle sfide la cui importanza non è inferiore a quelle appena viste e che, purtroppo, non ricevono spesso la stessa attenzione. Mi riferisco agli studi, talvolta non sufficientemente finanziati e supportati, che riguardano la determinazione di quali siano, realmente ed individuo per individuo, i livelli di stimolazione ed i tipi di stimoli con i quali si possano ottenere i risultati ottimali. Ad esempio: quale livello di dettaglio è meglio che abbiano i mondi e gli oggetti virtuali affinché sia massimo il risultato? E quale tipo di stimoli sono più efficaci? E come combinare questi stimoli in un serious game che sia al tempo stesso efficace come trattamento e divertente ed attraente come i giochi “veri”? Nonostante i tanti i lavori scientifici in questo campo, non abbiamo ancora metodologie ed approcci sufficientemente validati ed efficaci da poter essere considerati generali.